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Battaglia di Mombaldone - 8 settembre 1637

Battaglia di Mombaldone - 8 settembre 1637


Una leggera brezza mosse delicatamente l'erba alta. Un piccolo torrente scorreva riflettendo il sole e dando luogo a piacevoli e rilassanti giochi di luce. Quest'irregolare uniformità fu interrotta dal passaggio di un copricapo militare, che galleggiava ormai completamente inzuppato, e dal fragore di un colpo di cannone che fece tremare la terra. Stivali infangati irruppero nel verde sollevando zolle di terra, mani nervose stringevano i moschetti anneriti dalla polvere da sparo e le sciabole snudate erano rosse di ruggine e sangue.
Nella boscaglia s'intravedevano strani riflessi, ma questa volta non si trattava d'acqua... erano elmi spagnoli che conservavano ancora qualche parte lucida. Un grido indecifrabile, presumibilmente un ordine, infranse l'istante di silenzio e dalla vegetazione si profilarono le lingue di fuoco che seguivano il piombo.
Piemontesi e francesi si buttarono a terra: qualcuno rimase ferito, qualcun altro cadde fulminato sul colpo.

Il fumo della battaglia strinse gli uomini in una morsa letale, la fatica ed il dolore potevano essere letti sui loro volti.
Un moschetto francese fece fuoco centrando un soldato spagnolo lanciato in una carica di baionetta.
Il clangore delle sciabole era forte quanto le grida d'incitamento o di morte. Una lama fendette l'aria fino al momento dell'impatto con il corpo di un nemico.
Cinque cavalieri delle truppe piemontesi attaccarono un esiguo avamposto spagnolo spazzandolo via tra fiammate di polvere da sparo, fumo e scintille provocate dall'urto delle spade. Un cavaliere fu trascinato a terra, l'animale imbizzarrito cadde travolgendo entrambi gli uomini.
Un plotone di fanteria francese avanzò in formazione ordinata per due file parallele. La prima linea fece fuoco poi si abbassò per la fase di ricarica, mentre la seconda diede sfogo ai moschetti contro gli spagnoli che battevano ritirata.                Il rullare dei tamburi accompagnava in un crescendo di tensione lo scontro ormai al culmine.
Vittorio Amedeo ed il Maresciallo Créqui osservavano la sconfitta delle truppe spagnole dall'alto di una collina.
'Abbiamo perso molti uomini...', disse il re, 'n'è valsa la pena maresciallo Créqui?'
Crèqui si rischiarò la voce prima di rispondere, 'Oserei dire di si, Maestà...', guardò il re dritto negli occhi, 'gli spagnoli ci penseranno due volte prima di fare un'altra mossa.'
Vittorio Amedeo tornò a guardare il campo di battaglia disseminato di cadaveri, 'Vorrei essere ottimista quanto voi maresciallo.'
Il tempo di rialzarsi e premere il grilletto mentre il nemico ricaricava ed una pioggia di fuoco tinse di rosso le fronde degli alberi.
La cavalleria francese caricò seguita dalla fanteria piemontese che trainava i cannoni conquistando terreno.
Le sciabole con la punta verso il cielo si abbassarono mirando agli avversari.
Gli spagnoli spronarono i loro cavalli e con le picche puntate contrattaccarono.
I due eserciti si fusero in una massa di carne, perdendosi nella nuvola di polvere che si era formata.
Gli zoccoli dei cavalli calpestavano i corpi dei caduti, lance e spade spezzate non si contavano, mentre i duelli, nella zona centrale della mischia, si facevano più feroci.
I cavalieri delle due parti che avevano superato la resistenza, sbucarono dalla coltre polverosa... gli spagnoli si trovarono di fronte la fanteria e di lato i cannoni nemici.
Le bocche nere non esitarono a sputare fuoco e la fanteria finì i superstiti tra scariche di piombo e sciabolate.
Ai margini del campo di battaglia, non lontani dal fuoco nemico, il re ed il maresciallo assistevano alla nuova vittoria.
'Siamo di fronte ad un nemico cocciuto Crèqui...', disse Vittorio Amedeo, 'la lezione impartitagli a Tornavento non si è rivelata esauriente. Con questo non voglio affermare che le vostre teorie strategiche sono superate, non fraintendetemi, il problema è che abbiamo a che fare con qualcosa di reale... respirano e sanguinano come noi. Qui le scartoffie non servono... occorre azione!'
Detto questo il re sfoderò la sciabola ed incitando rabbiosamente il cavallo si lanciò nella battaglia.
Créqui restò interdetto, non poteva fare altro data la situazione... si trattava di coraggio o di pura follia? In ogni modo, l'atto del suo re sarebbe passato alla storia.
'Come Vostra Maestà desidera. Se tanto poco tenete alla vita... avrete presto l'opportunità di perderla.'
Crèqui spronò a sua volta la cavalcatura e gridando scese in campo.

Max Ferro, 'Il Drago e l'Aquila'

Il quadro riprodotto in questa pagina, dal titolo 'Vittorio Amedeo I rompe l'oste spagnuola sotto Mombaldone (1637)', è opera del pittore torinese Francesco Gonin (1808-1889), che lo dipinse nel 1840 in onore del suo sovrano, il Re di Sardegna Carlo Alberto, ed è conservato nella Sala Rossa di Palazzo Reale in Torino.

Alla fine del cruento scontro, come testimonia Goffredo Casalis (“Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna” - Torino, 1842), «gli Spagnoli furono costretti a fare la ritirata, lasciando in potere delle truppe savoine il castello di questa terra, otto cannoni, carriaggi e munizioni.»

A commento della sua vittoria Vittorio Amedeo I di Savoia ebbe a dire: « ...habbiamo costretto il nemico a ritirarsi nei suoi dominii, e lo habbiamo scacciato a forza d'arme con l'acquisto delli sei pezzi di canone che aveva, con tutte le munitioni da guerra, carri, allettaggi et altre provigioni che portava. »

Durante lo scontro furono sparati dagli Spagnoli alcuni colpi di cannone contro il Castello, senza tuttavia andare a segno: a titolo di riconoscenza alla Madonna per lo scampato pericolo, due palle di cannone vennero poi murate dalla popolazione mombaldonese all’interno della chiesa dedicata alla Madonna del Tovetto, dove sono tuttora visibili. Da quel giorno la comunità di Mombaldone celebra la sua festa patronale proprio l’8 settembre, in onore della Natività della B.V. Maria, che l'ha protetta in un momento assai difficile della sua storia.